2 aprile 2020
Riflessioni su Immaturità e Coronavirus
Stiamo vivendo un evento senza precedenti per le nostre generazioni, la pandemia di COVID-19. Un virus insidioso, sconosciuto, talvolta mortale che rende la situazione molto complicata anche per gli esperti. Ognuno di noi è toccato profondamente da questo evento che ci fa prendere contatto in maniera inaspettata e inevitabile con i nostri limiti, anche quelli che ci ostiniamo a rifiutare.
Il messaggio che impera è che tutto è possibile e gli strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione confermano le sconfinate possibilità che abbiamo. Possiamo viaggiare in tutto il mondo con pochi euro, avere figli a cinquanta anni, modificare il nostro corpo a piacimento, ritardare la pubertà o l’invecchiamento. La popolazione aumenta oltre la capacità delle risorse ambientali, gli oggetti che vogliamo possedere, che leniscono la nostra insopportabile “mancanza a essere” (per dirla con Lacan), sono sempre diversi, alimentando una corsa alla produttività e al consumismo in una spirale che si allarga senza fine. Tutto questo ci rende dimentichi dei limiti che abbiamo, quelli dell’essere umano che siamo, con un corpo che invecchia, si ammala e muore senza poter ricorrere a protesi dell’eterna giovinezza come il quadro di Dorian Gray.
La nostra è una società il cui sistema ci vizia e deresponsabilizza, trattandoci come bambini cui viene detto: se fai il bravo (ma anche se non lo fai, in fondo) ti compro un nuovo giocattolo.
Questo fenomeno riguarda il singolo, ma anche i gruppi e la società intera fino a chi ci ha rappresentato e chi ci rappresenta al governo (fedele specchio dell’elettorato), che esercita troppo spesso un potere senza responsabilità, si rimpalla tale responsabilità (una scottante roba da adulti) dando la colpa alle malefatte (sempre e comunque) dell’altro, al governo precedente o alla breve durata del proprio.
Nel frattempo dall’opposizione e dai suoi elettori, come altri bambini capricciosi a cui non piace il gioco scelto, si sollevano lamentele, lagnanze, critiche non argomentate e ignoranti, perché studiare, informarsi e approfondire è faticoso e anche qui si preferisce delegare a chi si prende la briga o si diverte a scrivere qualcosa, anche una fake news, l’importante che sia prêt-à-porter e ci liberi da incombenze che è più comodo demandare, così da poterle poi criticare anche con arroganza travestita da autorevolezza.
Finchè la responsabilità sarà dell’altro, cosa farò io in prima persona per conoscere, fare esperienza, sbagliare, correggere, migliorare, crescere, maturare?
Il bambino piccolo, come è naturale che sia, non ha contezza di spazio e tempo, vuole tutto e subito, è pienamente dipendente dall’altro, facile preda della paura e quindi manipolabile, per questo va protetto. I genitori in quanto adulti hanno il dovere di guidare i propri figli gradualmente verso l’indipendenza biologica e psicologica. Qualcosa in questo processo sta fallendo in maniera sempre più evidente da generazioni. Siamo una società “che invece di allevare il ragazzo innalzandolo a uomo, abbassa sé ai comportamenti della puerizia”1 . Una società basata sul culto della fanciullezza, costituita da individui dall’identità incerta che ricoprono ruoli chiave e di potere, agito però con la stessa serietà che richiedeva una partita a monopoli o a soldatini di molti anni fa.
Deresponsabilizzati siamo anche di fronte a eventi gravi ma localizzati come il terremoto, la deforestazione, lo scioglimento dei ghiacci, la terra dei fuochi, che ci toccano per un po’ ma ci sembrano lontani, ce ne dimentichiamo, riguardano qualcun’altro, meglio distrarci e non pensarci, qualcuno ci penserà.
L’evento Coronavirus ha una caratteristica diversa in questo senso: è globale, non esclude nessuno, riguarda ognuno di noi direttamente, le azioni di ognuno fanno la differenza nel proteggersi e preservare gli altri, i propri cari ma anche gli sconosciuti, dal pericolo del contagio. Non funziona l’anestesia dell’illusione che qualcuno ci toglierà le castagne dal fuoco.
Il limite dato dal confinamento, il lockdown, come la regola di un padre adulto, sembra permettere la nascita di qualcosa di nuovo: fermarci davvero a pensare senza poter delegare. Forse è ingenuo sperare che quando avremo superato l’emergenza potrà nascere un desiderio di modi di vivere alternativi, sostenibili, maturi di un’esperienza che ci ha chiamati alla responsabilità comunitaria, al cosiddetto senso civico.
Forse non ci possiamo aspettare un cambiamento epocale ma ci basterà che la pandemia abbia scosso qualche coscienza e avremo più forza per prendere atto della necessità di soluzioni alternative da considerare a un mondo infantile che consuma, sfrutta anche la natura (compresi gli altri esseri umani) con il sistema consumistico dell’“usa e getta”.
Carmela Emilia Cancellaro
Il Bambino è il padre dell’Uomo. Quando cresciamo non diventiamo un’altra persona,
rimaniamo invece la stessa dall’infanzia alla vecchiaia. Con la maturità,
comunque, ci si rende conto di quel che si è, mentre ciò non accade nell’infanzia.
Maturare significa diventare consapevole delle necessità , sapere quello che si vuole e
prepararsi a pagare il prezzo che questo richiede. Chi fallisce è perché non sa quello che vuole,
oppure gli repugna il prezzo.
Wystan Hugh Auden – Il prolifico e il divoratore, in <<Linea d’ombra>>, n. 98, Milano 1994.
1J. Huizinga, La crisi della civiltà, Einaudi, Torino, 1962.
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2 aprile 2020
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