24 gennaio 2019
La psicoanalisi al cinema
Transfert e psicosi
di Carmela Emilia Cancellaro
intervento in occasione della proiezione del film Transfert con la presenza del regista Massimiliano Russo e il successivo dibattito sul tema Transfert e Psicosi
Psicoanalisi e arte sono in connessione fin dai primi sviluppi della psicoanalisi, Freud ci ha lasciato in eredità, anche il suggestivo confronto tra artisti e psicoanalisti.
L’arte si è ispirata alla psicoanalisi come nel caso dei pittori surrealisti o della letteratura pensiamo in Italia per esempio le opere di Italo Svevo o di Giuseppe Berto, e la psicoanalisi attinge dai poeti, dai pittori, dagli scrittori, dal cinema per riflettere sulla natura umana e sull’inconscio. Pensiamo alla passione di Freud per l’arte, era collezionista di oggetti di arte antichi e del Vicino Oriente o per esempio quanto i suoi soggiorni a Orvieto (per dirne una) e la visita alla cappella con gli affreschi del Signorelli abbiano influenzato l’elaborazione di molti dei suoi concetti.
Non solo, il tema centrale nelle teorie freudiane, il complesso di Edipo trae spunto dalla drammaturgia greca senza dimenticare gli studi di Freud su Leonardo o sul Mosè. L’arte ha la possibilità di mostrarci e farci riflettere sui meccanismi psichici inconsci, che la sensibilità dell’artista coglie nella sua essenzialità. E la psicoanalisi diventa per l’artista ispirazione per un’ espressione autentica e profonda di se stessi, lo stesso Hermann Hesse avvicinatosi alle teorie psicoanalitiche afferma che gli hanno permesso di conquistare sincerità verso se stesso, avendo imparato a prestare attenzione ai propri sogni scrisse in poche settimane il suo romanzo Demian ispirato alla figura sognata di un uomo forte contro il quale lottava e dal quale era vinto.
Nell’omaggio a Marguerite Duras, Lacan sostiene che l’artista precede sempre lo psicoanalista.
Il cinema, la cosidetta settima arte, ha un posto importante nella riflessione psicoanalitica.
Lacan era molto vicino al mondo del cinema, la sua seconda moglie era un’attrice famosa, era stata la brillante protagonista nel film “La scampagnata” di Jean Renoir (1936) ed era la sua mentore nella scelta e lettura dei film. Egli cita spesso opere filmiche nei suoi seminari, in una lezione del VIII seminario che è proprio quello sul Transfert dice che “lo schermo del cinema può essere il rivelatore più sensibile” (pag.17) nello stesso seminario fa un cenno a i film di Hitchock e Montgomery Clift evocati per insegnare al terapeuta a raccomandarsi alla bruttezza socratica.
Per quanto sensibile possa essere, tuttavia non è consigliato soffermarsi sulle diagnosi e nomenclature sui personaggi di un film, la psicoanalisi non si può applicare all’arte forse può essere possibile il contrario, l’arte applicata alla psicoanalisi. Lacan si è espresso chiaramente su questo dicendo che la psicoanalisi può esser applicata, in senso proprio, solo come trattamento, e dunque a un soggetto che parla e intende. (Lacan, La giovinezza di Gide o la lettera e il desiderio, in Scritti, p. 740)
Non mi soffermo dunque su i profili clinici dei personaggi, né su questioni cinematografiche sulle quali ho scarse competenze, ma racconto la mia esperienza riguardo questo film: la prima volta che l’ho visto è stato alla sua prima presentazione al Web Fest al MaXXi di Roma penso che la mia reazione sia stata comune a molti di noi, ero infastidita e mi contorcevo sulla sedia pensando: ecco un altro film che schernisce il nostro lavoro ma resistendo, ho scoperto che non era così perchè a un certo punto, come avete visto, c’è una svolta in cui la storia confonde e disarma; il thriller di Massimiliano Russo è, a mio avviso, perfettamente riuscito: crea tensione, sorprende, spiazza.
Esattamente come spiazza la follia.
Il regista ci racconta di uno psicoterapeuta malato, uno psicoterapeuta psicotico, del suo doppio, del suo delirio, di un supervisore apparentemente condiscendente in una fotogenica Catania che tace e acconsente. Con degli illuminanti flash back sull’infanzia del protagonista e sull’adorabile piccolo attore che da bambino ci mostra che ancora stava bene, tanto da dire: “non voglio fare lo psicoterapeuta ma il paziente!”
Mi sono chiesta come mai il regista abbia scelto questo titolo visto quanta sia delicata la questione del transfert con lo psicotico, è noto che Freud considerava la psicosi non adatta al trattamento psicoanalitico. Questo scetticismo terapeutico è ancora oggetto di dibattito tra gli psicoanalisti.
Lacan non ha la stessa posizione di Freud. Dice che non dobbiamo indietreggiare di fronte alla psicosi. Egli parla di trattamento della psicosi, e lo distingue dalla direzione della cura che invece prevede per il nevrotico.
Lo psicoanalista francese orienta la nostra pratica dicendo invece che c’è transfert nella psicosi, anche se di natura diversa. Lavorare con questo transfert è concepibile, a condizione di modificarne la natura. Piuttosto che farsi agente di un’erotomania persecutoria, l’analista può diventare il lettore, il segretario dell’alienato, il partner sintomo, come ha indicato Jacques-Alain Miller.
I film, oggi anche le serie tv ci possono aiutare nella lettura della contemporaneità e del disagio della civiltà, farci riflettere sulle nuove forme di sintomo, potremo cercare e trovare molti dei sintomi attuali nei film come nel film di Massimiliano Russo. “Approfittare”, permettetemi questo termine, dell’artista per il progresso della psicoanalisi. Un film, un poema, un’opera musicale possono aprirci gli occhi, emozionarci, farci ragionare e aiutarci a fare chiarezza sulla nostra esistenza.
L’occasione di questa serata è uno di questi momenti, valerci di questo film, per riflettere
- su come è vista la nostra professione, (nelle parole dei pazienti del protagonista sono riportati molti stereotipi che incontriamo nella nostra pratica);
- se e come è possibile un transfert con la psicosi;
- una riflessione anche sulla formazione dello psicoterapeuta e la garanzia possibile sulla sua salute mentale.
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Date
24 gennaio 2019
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