7 marzo 2018

Quando il corpo è implicato nella cura medica e psicoanalitica

di Roberta Tancredi

In verità il sapere del corpo non accompagna la vita quotidiana di uomo e donna. Per essere così vicino, il corpo è in assoluto la zona di conoscenza meno frequentata. Dircene il perché pertiene alla psicoanalisi e alla psichiatria moderna.1” Questa osservazione di Rossana Rossanda rivela bene lo straniamento che proviamo rispetto a quanto abbiamo di più prossimo, infatti ci capita di occuparci del corpo soprattutto quando ci ammaliamo e, invece, di darlo per scontato o ignorarlo quando siamo in condizioni di benessere.

Ciò che complica il rapporto con il nostro corpo, a differenza di quanto accade nel resto del mondo animale, è causato proprio dall’effetto del linguaggio sull’organismo. L’organismo biologico, infatti, diventa corpo, perché già da prima della nostra nascita, veniamo rappresentati attraverso la parola che, appunto, è un dono (di senso) che ci viene dall’Altro, a partire dalla scelta del nome che portiamo. Questa operazione, però, avviene attraverso una serie di tagli simbolici che operano sull’organismo biologico e sulla sua parte istintiva, come accade ad esempio con l’educazione sfinterica, in cui l’adulto impone una regola che disciplina e assoggetta una funzione corporea biologicamente determinata, favorendo l’accesso a una dimensione civile e sociale dell’esistenza.

Queste operazioni di castrazione simbolica per entrare nel campo dell’Altro, implicano sempre una perdita relativa all’essere stesso del soggetto, “il soggetto si configura infatti come strutturalmente mancante, senza alcuna possibilità di reintegrazione di ciò che manca, costitutivamente alienato”2. Questo implica una rinuncia alla possibilità di una soddisfazione immediata e totale, paradiso per sempre perduto e continuamente ricercato attraverso il rapporto con i vari oggetti di godimento, che riguardano la spinta pulsionale e il reale del corpo.

Oggi, sempre più spesso, le persone arrivano a consultare lo psicoanalista a partire da situazioni che implicano il corpo, a diversi livelli (sintomatologie di tipo ansioso come gli attacchi di panico, disturbi del comportamento alimentare, problemi di tossicomania, presenza di malattie importanti e, a volte croniche, come il cancro o il diabete, o di malattie che, riprendendo la classificazione di Franz Alexander,3 venivano definite come psicosomatiche: colite ulcerosa, psoriasi, cefalea emicranica, ipertensione arteriosa psicogena …). Questo comporta due cose: che lo psicoanalista, nel lavoro di cura, sia eticamente tenuto a mettersi in rapporto con altri saperi (medicina, studi di psiconeuroendocrinoimmunologia, interventi di riabilitazione, tecniche a mediazione corporea …) e che si domandi come procedere nella pratica clinica quando si trova di fronte ad un corpo che manifesta gli effetti di un trauma o di un grave accidente, di cui la persona, però, non sa dire quasi nulla.

Infatti se il sintomo nevrotico, come “evento di corpo” (con tutte le manifestazioni somatiche a partire dalle quali nasce la talking cure di Freud) metaforizza il ritorno di un significato che è stato rimosso e sostituito con un significante capace di produrre nuovo senso, quindi è un fenomeno di linguaggio, nel Fenomeno Psicosomatico4 si è a livello di olofrase, definita da Lacan “come una solidificazione della catena significante che immobilizza il discorso … Non metaforizza il soggetto ma lo inchioda ad una identificazione assoluta.5” Scrive Senzolo, a proposito delle situazioni in cui il paziente domanda una terapia per il suo problema organico: “Lo psicoanalista può subentrare in seconda battuta, ma alla condizione di aver costruito un terreno comune col medico che faccia dell’operare di quest’ultimo – almeno potenzialmente – un preliminare di un lavoro che procede verso un’iniziale soggettivazione del male.

Forse il sintomo somatico non è interrogabile, ma può, almeno inizialmente, costituire un’occasione per prendere la parola.”6 La possibilità di una parola che prenda corpo a partire da un evento che si in-scrive nel corpo e che porta il soggetto a confrontarsi con l’esperienza del limite e della perdita, innanzitutto rispetto a un’illusione di padronanza, nonché con le angosce relative alla morte, è una sfida che ho riscontrato nelle esperienze di lavoro con le persone che affrontano il cancro.

Usando le parole di Marone, attraverso un ascolto e un lavoro di tipo analitico, il soggetto (dell’inconscio) potrebbe avere modo di “farsi responsabile (non colpevole, ndr) del reale somatico, e utilizzarlo come occasione per modificare ciò che può essere trasformato7”. Gli studi e le riflessioni sui fenomeni somatici rappresentano per la psicoanalisi un’occasione per confrontarsi con un ambito di cura che non le è tradizionale, ma in cui l’insegnamento di Lacan per cui “una psicoanalisi è ciò che ci si aspetta da uno psicoanalista”8 segna un orientamento, non verso una specializzazione dell’analista, ma verso un ascolto capace “di andare incontro al silenzio del corpo, da cui si agitano minime tracce protomorfiche che sono ancora un non detto, ma che auspichiamo, per chi le ascolta, abbiano le potenzialità del dire.”9

1 R. Rossanda (2018), Questo corpo che mi abita, Bollati Boringhieri, pp. 68-69

2 M. Recalcati (2003) Introduzione alla psicoanalisi contemporanea, p.159

3 F. Alexander (1950) Psychosomatic Medicine

4 J. Lacan (1964) Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi (tr. It. 1979)

5 M. Recalcati (2003) Introduzione alla psicoanalisi contemporanea, p.120

6 G. Senzolo (2017) Lacan e la psicosomatica, Edizioni ETS, p. 69

7 F. Marone (2009) Postfazione. In D. Bonetti, Quando il corpo non è riparabile, Libreria Al Segno Editrice, p. 86

8J. Lacan (1955) Varianti della cura-tipo. In Scritti, vol.I (tr. It. 1974)

9 R.M. Scognamiglio (2017) Prefazione. In G. Senzolo, Lacan e la psicosomatica, Edizioni ETS, p. 12

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