7 novembre 2017
La depressione post partum al maschile. Quando a soffrirne sono i papà
di Cinzia Montuori
Solitamente quando si parla di depressione post-partum si tende a pensare ad una problematica che riguarda le neo-mamme. Negli ultimi venti anni, però, l’attenzione dei clinici si è spostata sulla triade madre-bambino-padre evidenziando come questo disturbo possa colpire circa il 10% dei neo-papà.
I sintomi? Sono gli stessi della depressione: stato di abbattimento, tristezza, insonnia o altri disturbi del sonno, desiderio di isolamento, difficoltà a concentrarsi e a lavorare in modo efficiente, senso di inadeguatezza verso la propria compagna e verso il figlio.
La caduta della società patriarcale, l’emancipazione delle donne soprattutto in ambito lavorativo, la scoperta che esista – da parte dei padri – la ricerca di una soddisfazione psicologica e non semplicemente un obbligo morale verso i figli, hanno fatto sì che ai neo-papà venisse riconosciuta un’importanza fondamentale fin dai primi mesi di vita del bambino. Contemporaneamente, l’interscambiabilità del ruolo genitoriale ne ha determinato un maggior coinvolgimento nella cura della prole.
Adattarsi alle nuove esigenze della famiglia non è un compito semplice, in special modo se si pensa al fatto che gli uomini spesso non dispongono di modelli di identificazione di genitorialità moderna e sono dunque chiamati a reinventare il proprio ruolo.
Altri fattori che possono predisporre al rischio di depressione paterna sono, per esempio:
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la precarietà economica o le preoccupazioni finanziarie;
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il fatto di vivere una relazione non molto soddisfacente – con scarsa comunicazione – con la propria compagna;
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il senso di esclusione rispetto al rapporto mamma-bambino, che è molto forte nelle prime settimane;
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Di sicuro anche il poco sonno, inevitabile quando c’è in casa un neonato, insieme al fatto di scontrarsi con una realtà che può essere molto diversa da come era stata immaginata, non aiutano.
Sul piano soggettivo, questi disturbi hanno sempre a che fare con la propria storia personale: se ci sono state situazioni difficili in passato (per esempio un rapporto difficile con il proprio padre o una separazione traumatica dei genitori) è facile che emozioni negative e disturbi dell’umore tornino a riaffacciarsi proprio quando c’è una nuova situazione critica.
Come intervenire se c’è qualcosa che non va?
La prima cosa da fare sarebbe cercare di non chiudersi e parlarne subito con la propria compagna. Esplicitare le proprie paure o sentimenti può far nascere una nuova complicità, che consolida il legame di coppia.
Se la questione è invece più profonda, allora un percorso di analisi personale può aiutare a trovare risposte più adeguate alla propria sofferenza e modalità più autentiche di ricoprire questo ruolo.
Conclusioni
In un’epoca in cui la genitorialità e i ruoli di genere stanno attraversando importanti trasformazioni, sorgono nuove domande che interrogano l’essere umano su questioni antiche: cosa significa essere uomo o essere donna? Cosa ci si aspetta dall’essere padre o dall’essere madre? La funzione paterna e quella materna non sono più definite e separate come lo erano trenta anni fa. Ad oggi assistiamo, invece, a una mescolanza di compiti e ruoli per cui sempre più spesso la funzione materna viene assunta dal padre e, viceversa, la funzione paterna dalla madre. Cosa comporta tutto questo? In che modo tutto questo influisce sull’imago della donna e dell’uomo che ciascuno di noi ha costruito fino al momento di diventare genitore?
Fonti:
(2017) Diventare padri nel terzo millennio. Elisabetta Ruspini , Marco Inghilleri, Valeria Pecorelli. Francoangeli ed.
(2015) An Integrative Review of Paternal Depression, pubblicato su “American Journal of Men’s Health”, Vol. 9(1) pp.26–34.
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Date
7 novembre 2017